Violenze sessuali in famiglia – Il Piccolo 08.01.2023

I pestaggi e le ripetute violenze sessuali in casa, protratte per anni. Tanto che la vittima – una quarantenne di origini rumene, residente da anni a Trieste – a un certo punto aveva deciso di denunciare il marito, innescando un’indagine della Procura. Ma non c’era nulla di fondato in quei racconti, come dimostrato proprio dall’inchiesta. L’ex, nel frattempo, ha rischiato seri guai giudiziari: un reato del genere può comportare fino ai dodici anni di detenzione. C’è voluto tutto l’impegno degli investigatori per fare chiarezza sul caso. L’intera indagine, dopo la denuncia sporta dalla donna, era stata coordinata dal pm Maddalena Chergia. Tutto ha inizio quando il rapporto tra i due, entrambi quarantenni, comincia a incrinarsi e la coppia avvia le pratiche per la separazione. Si trattava anche da stabilire le modalità di affidamento della figlia minore.

Da quel momento la vicenda rende una piega diversa: la donna si rivolge ai Carabinieri parlando dei maltrattamenti e delle violenze sessuali subite dal 2016 ad aprile dell’anno scorso. «Mi insultava, mi prendeva a schiaffi e abusava di me…». Una situazione apparentemente drammatica.

Il pm Chergia apre un fascicolo, ma già dopo i primi interrogatori gli inquirenti si accorgono che qualcosa non torna: nessuno dei testimoni indicati dalla stessa presunta vittima come persone informate sui fatti, e quindi sentiti in interrogatorio, confermano. Dinnanzi alla mancanza di prove il pm chiede l’archiviazione del caso; ma la quarantenne, assistita dall’avvocato Giovanna Augusta de’ Manzano, si oppone e ribadisce la versione fornita. Suggerendo, anzi, di sentire ulteriori testimoni. A quel punto la palla passa al gip Marco Casavecchia: il giudice, al termine dell’udienza di dicembre, conclude ritenendo contraddittorio quanto riferito dalla donna, tanto più dinnanzi alla mancanza di validi riscontri investigativi, e riconosce che la vicenda si inseriva nel contesto di conflittualità della coppia. Di qui l’archiviazione definitiva del procedimento.

«Il provvedimento del gip riporta a dei principi fondamentali di civiltà giuridica – osserva l’avvocato William Crivellari, il legale che ha difeso l’uomo – il primo dei quali è quello per cui non si può sottoporre a processo un cittadino se a suo carico non esistono idonee fonti di prova. Perché anche il processo, di per se’, è una pena che non deve essere inflitta con leggerezza». Così l’avvocato de’ Manzano: «Nelle fattispecie penali che si consumano tra le mura domestiche non è insolito che a una narrazione dettagliata delle violenze da parte della persona offesa si associno anche comportamenti ambivalenti agiti dalla stessa nell’ambito familiare; altrettanto frequente – conclude – è che vi siano scarsi riscontri di quanto denunciato, non solo per la vergogna in cui vive la vittima, ma anche per la mancanza di una rete di sostegno».

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