
La campagna referendaria per la promulgazione di una legge regionale sul così detto “suicidio assistito”, promossa dall’Associazione Luca Coscioni, ha già superato il numero di firme necessario. Oltre 7000 le firme raccolte, di cui indicativamente 1300 a Udine, 1900 a Trieste, 2500 a Pordenone e 1300 a Gorizia.
La legge regionale che si vuol far promulgare in FVG è volta a disciplinare con procedure e tempi certi il fine-vita di chi si trova nelle condizioni di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 242/19, che si è pronunciata sul noto caso “Cappato”. Tale sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
Poiché manca ad oggi una legislazione che regolamenti tempi e procedure certe per accedere alla procedura, scopo del referendum regionale è appunto quello di far promulgare una legge che garantisca tutto ciò; tace ad oggi il nostro legislatore laico, che infatti non è ancora intervenuto a sanare tale vuoto normativo.
In assenza di tempi certi, una persona che sta già male, perché chi chiede di accedere alla procedura afferma di essere nelle condizioni disumane psico-fisiche sopra descritte, subisce un tormento aggiuntivo da parte della pubblica amministrazione, il cui silenzio- inadempimento protratto nel tempo non trova al momento altra soluzione se non rivolgersi al Tribunale.
E’ recente la sentenza del Giudice del Tribunale di Trieste dott. Edorardo Sirza, che si è pronunciato sul caso di una donna triestina, tetraplegica, che stava attendendo da 215 giorni che l’ASUGI accertasse tali condizioni, senza ricevere risposta alcuna. Il Giudice ha dato quindi un termine ultimo di 30 giorni per l’accertamento circa la sussistenza delle condizioni necessarie per accedere alla procedura di fine-vita, con condanna dell’ASUGI a 500 euro per ogni giorno di ritardo.
215 giorni. La più grande forma di arroganza e disprezzo è quella di non voler ascoltare, che diventa peccato mortale se è un medico a farlo.
215 giorni costituiscono un uso strumentale del legittimo potere di verifica, significa boicottare un diritto, significa rifiutare un atto dovuto ed ostacolare, se non impedire, la scelta libera di un paziente pure terminale.
Negare il confronto significa pretendere di sottrarre il proprio agire al giudizio altrui, imponendo i propri significati di comodo in chiave auto-assolutoria; negare il confronto significa negare l’ascolto, che è tempo di cura, ascolto che ora però il Tribunale ha imposto, al netto della condanna a metà delle spese legali.
Giovanna Augusta de’Manzano