
Se la donna delinque tradisce due volte: violando la norma penale e violando l’ipnosi culturale attaccata all’archetipo che vuole le donne incapaci a commettere reati. Il ddl “Sicurezza”, approvato alla Camera con passaggio ora al Senato, tradisce invece per ora le aspettative di chi vorrebbe che rimanesse obbligatorio il differimento pena per le madri in gravidanza o con prole fino a un anno.
Se il differimento diventasse facoltativo, ciò comporterà una serie di ulteriori problemi nella tragica realtà carceraria, i cui suicidi da inizio anno son arrivati a quota 72. E poiché un suicidio equivale a un’evasione, lo Stato sta permettendo questa beffa ben larvata, perché un’evasione di 72 persone imporrebbe una repressione e un dispiegamento di forze quanto meno pari a quello a cui abbiamo assistito a luglio presso la Casa Circondariale di Trieste.
Le condizioni inumane delle carceri italiane, con le tazze del water ben a vista, a distanza di schizzo dal fornello su cui si cucina (a Trieste tale realtà è limitata alla sola zona del piano terra, in fase ora di ristrutturazione), non sono organizzate per accogliere né le madri in gravidanza, né la loro prole, a pena di traumi intra-generazionali.
Spiega l’avv. Elisabetta Burla, Garante Comunale dei Diritti dei Detenuti: “Il rinvio obbligatorio della pena per le gestanti, condizione che va richiesta e documentata con tutte le difficoltà del sistema e la carenza di personale sanitario e di giustizia, non ha impedito il verificarsi di drammatici episodi, quali quello nel marzo 2024 nel carcere di Sollicciano a Firenze ove una madre ha perso il suo bambino per complicazioni della gravidanza; quello del luglio 2022 quando una donna ha perso il suo bambino dopo essersi sentita male nel carcere milanese di San Vittore e quello, analogo, del marzo 2019 nel carcere di Pozzuoli. A Roma Rebibbia, nell’agosto 2021, una donna ha partorito in cella – alla scadenza naturale del termine – con la sola assistenza della compagna, quest’ultima al quinto mese di gravidanza. Le conseguenze della carcerazione per i neonati ha ovvie conseguenze a vita sullo sviluppo di quella persona, senza contare poi che dopo l’anno d’età quel bambino potrà subire una brusca interruzione della relazione affettiva con la propria madre che, anche se delinquente, ben può essere una madre amorevole, accudente e ben sintonizzata sui bisogni del minore.”
Dopo l’anno i rapporti madre-figlio, come tutti i rapporti in seguito all’ingresso in carcere, si riducono a dieci minuti di telefonata per sei volte al mese e un’ora di colloquio per quattro volte al mese. Ciò sempre che non venga scelto di tenere con sé il bimbo che quindi si troverà a scontare una pena senza condanna, in una sezione nido del carcere o in un ICAM.
Continua l’avv. Burla: “In FVG non vi sono ICAM, cioè Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri, strutture comunque detentive seppur con condizioni di custodia “meno dure” rispetto al carcere, che in Italia sono solo quattro (Venezia, Milano, Torino e Lauro); ancor meno -pur previste con la medesima legge la n. 62 del 2011- le case famiglia protette (Roma e Milano) pensate per ospitare genitori condannati con i propri figli in un contesto maggiormente educativo e socio assistenziale, per cui in FVG anche il principio della territorialità dell’esecuzione della pena viene a mancare, con compromissione di tutti gli interventi volti al reinserimento sociale della detenuta e del bambino.”
In effetti non mancano solo ICAM in Italia, ma manca ancor prima la consapevolezza che non è con la tortura di chi ha sbagliato che il dolore della vittima verrà sanato.
Giovanna Augusta de’ Manzano